domenica 14 ottobre 2007

In che misura

In che misura, chiede insomma Sogeid, le attività agricole (e le altre attività umane) influenzano le popolazioni microbiche? La domanda è interessante e … saporita!! La risposta non è semplice, ma tentiamo di abbozzare una strada, che riguarderà, per brevità, solo il ciclo della s.o.
Cominciamo così: sia l’agricoltura tradizionale sia quella industrializzata operano una serie di interventi che impattano (anche) sui suoli. Tuttavia, diversamente da quella industrializzata, l’agricoltura tradizionale sfrutta le potenzialità dei suoli senza superare la resilienza che li caratterizza. In ecologia, si ricorderà, la resilienza è analoga alla capacità di recupero fisico di uno sportivo, cioè quella capacità ch’egli ha di rimettersi in forma dopo una fatica; alcuni sportivi hanno maggiori capacità di recupero, altri meno. Così è anche per gli ecosistemi. E’ anche vero che alcune prove sportive sono più stressanti di altre. Anche per gli ecosistemi, alcune sollecitazioni cui sono sottoposti dalle attività antropiche sono più stressanti di altre. Insomma, l’agricoltura tradizionale è analoga a una prova sportiva poco stressante, dopo la quale lo sportivo riesce a riprendersi rapidamente; l’agricoltura industrializzata somiglia invece a una serie di prove sportive stressanti, dalle quali è difficile riprendersi. Se, come atleta, continuo a fare prove su prove, tutte super-stressanti, dopo aver messo a dura prova la mia resilienza, ne supero le capacità e raggiungo un punto di non ritorno. Si può stare in questa condizione per poco o pochissimo tempo, sicché, se non mi rendo conto di questo limite e insisto, posso solo andare avanti con l’aiuto del doping, ma per poco. Però, presto sarò colto da collassi e infine andrò incontro a morte. Insomma, l’agricoltura industrializzata equivale, per i suoli (e non solo), a una serie di prove sportive stressanti, da cui si ha difficoltà a recuperare efficienza. Anche qui, se superiamo la capacità di resilienza, dovremo dopare il sistema (somministrazione di input energetici sempre maggiori) che, presto o tardi, non sarà più in grado di recuperare. Pensiamo alle perdite progressive di s.o. nei suoli sottoposti a sfruttamenti intensivi. Le ragioni di tali perdite sono molteplici. Sottolineiamone due: (ii) l’asportazione, a ogni stagione del raccolto, di una buona parte del carbonio organicato in situ (biomasse vegetali in senso lato) senza che esso, o i suoi derivati, sia restituito allo stesso sito; (ii) molte, se non tutte le cure riservate a questi suoli potenziano le attività metaboliche (e i tassi di crescita) delle cenosi microbiche eterotrofe, e causano quindi elevati o elevatissimi tassi di mineralizzazione della s.o. Questo sistema-suolo è impoverito di s.o., nel senso che le scorte potenziali trofiche si sono depauperate, e le catene alimentari e i cicli biogeochimici hanno subito un rallentamento.
Negli ecosistemi naturali che hanno raggiunto la stabilità, invece, la s.o. si mantiene, grosso modo, costante, dato che gli apporti al suolo (spoglie animali, vegetali e microbiche; essudati vegetali aerei e radicali) avvengono con tassi analoghi a quelli delle asportazioni (mineralizzazione, erosioni, lisciviazioni).
Gli agroecosistemi condotti con metodologie tradizionali non sono – ovviamente – proprio equivalenti a ecosistemi stabili. Tuttavia, vi si avvicinano più dei sistemi ad agricoltura industrializzata. Infatti, le rotazioni, il maggese, l'utilizzo di foraggiere poliennali, le colture intercalari, le letamazioni, il sovescio, la pacciamatura, aiutano i suoli agrari a reintegrare le perdite imposte dalle lavorazioni e dall’asportazione del raccolto. In tal modo, il suolo mantiene la sua funzione di polmone di riserva della s.o. e, avendo riguadagnato una struttura ottimale (e quindi adeguata permeabilità e capacità di ritenzione idrica), è ora in grado di sostenere adeguati livelli di microflora eterotrofa e tenere in moto i cicli biogeochimici, veri motori di tutti gli ecosistemi.
Ci sarebbero, naturalmente, molte altre relazioni da considerare, come ad esempio l’effetto che i fertilizzanti chimici e i composti xenbiotici (insetticidi, fungicidi etc.) esercitano sul ciclo del carbonio e della s.o., ma anche sui cicli dell’azoto e degli altri elementi.

3 commenti:

microbios ha detto...

A proposito di xenobiotici, ecco cosa dice 'Villaggio globale'[www.vglobale.it] nelle "ultime notizie" di oggi: "Rinvenuti, nelle acque italiane, 119 diversi tipi di pesticidi: 112 in quelle superficiali, 48 in quelle sotterranee. Lo ha reso noto l'Apat (Agenzia per la protezione dell'ambiente e i servizi tecnici), questa mattina, nel corso della conferenza stampa di presentazione del Rapporto sul piano nazionale di monitoraggio, coordinato nel triennio 2003/2005"

Anonimo ha detto...

Ciao microbios,
vorrei ritornare sul commento dei suoli "dopati" di qualche giorno fa; nella risposta si dice che i sistemi agricoli industrializzati, caratterizzati dall'asportazione dei residui colturali, si ha un progressivo depauperamento del contenuto di sostanza organica dei suoli. Consapevoli che la materia non può essere distrutta dove va a finire questa s.o.? Ho provato a rispondere facendo un esempio con il frumento. Al termine del ciclo colturale, la biomassa prodotta dal grano può essere suddivisa in: radici (rimangono nel terreno e apportano s.o. al terreno), paglia e granella. la paglia può essere utilizzata nella lettiera degli animali e restituita al terreno (ipotesi migliore, è il caso dell'agricoltura tradizionale) oppure bruciata (ossidiamo la s.o., produciamo CO2 che potrà di nuovo essere organicata da altri vegetali). la sostanza organica contenuta nella granella viene utilizzata da noi consumatori (uomo e animali) per costruire la nostra biomassa (questa s.o. verrà restituita al suolo dai nostri scarti e direttamente dal nostro corpo quando moriremo). Sulla base di ciò si può dire che in realtà c'è uno spostamento nello spazio e nel tempo della s.o.? Pur non risolvendo il problema dell'impoverimento dei suoli in s.o. chiedo una conferma del mio ragionamento. P.S. chiedo venia per eventuali lacune e "stupidaggini" che possono esser venute alla luce

microbios ha detto...

Ciao ayrton, non ci sono stupidaggini in quello che dici. A depauperare i suoli di s.o. sono, nell'agricoltura industrializzata, due fatti concomitanti: (1) una minore quantità di s.o. interrata (parti aeree) e (2) una mineralizzazione molto veloce degli apparati radicali. Le parti aeree sono trasferite altrove; la s.o. di cui sono fatte nutre uomo e animali; le deiezioni e i resti di uomo e animali non ritorneranno però al campo di origine: generalmente questi scarti organici saranno ossidati altrove, in maniera rapida (ad es., in impianti di depurazione) è vero che il carbonio non va perduto, ma è anche vero che l'equilibrio del ciclo si è spostato a favore dell'anidride carbonica. Tornando agli apparati radicali, questi sono senz'altro interrati in loco ma le lavorazioni assidue per le colture successive e gli elevati apporti di azoto, favoriscono una rapida mineralizzazione. Anche in questo caso il carbonio non va perduto, ma è anche vero che l'equilibrio del ciclo si è spostato a favore dell'anidride carbonica.
Per concludere: sempre più poveri di s.o., i suoli perdono una delle loro tradizionali funzioni: quella di "polmoni di riserva" della s.o.